Come i fiori in Antartide, di Massimo Fazzini

Possono fiorire dovunque purché il terreno sia consentaneo al loro genoma.
Alla loro essenza.
La natura del luogo provvede alle loro cure. Al loro vivere e sopravvivere.
Una simbiosi biologica che impedisce al fiore di morire tanto che dopo il disfioro rifiorisce ancora. E ancora.
La vita, quindi, come rapporto.
Come osmosi.
Come fitta rete di sinapsi di cui neppure una può essere recisa.
Pena la malattia.
Pena la morte.
Doverosa quindi la coniugazione tra l’essere e il dover essere.
Tra la presa d’atto (sic rebus stantibus) e l’azione.
Il proiettarsi – verso – per agire.
Il disagio di Massimo Fazzini, il ragazzo che sognava di diventare filosofo (e non sa di esserlo) piuttosto che medico, l’uomo curante di oggi, il curante dell’emergenza,
s’interroga nel suo profondo fino a stigmatizzarsi.
Si misura non solo con se stesso, ma in rapporto con gli altri dentro una struttura complessa e spesso complicata quale il “Pronto Soccorso” – un “ponte” come lo definisce lui- tra “società e sanità” dove gli è ancora possibile – non senza fatica – continuare a curare in un tessuto che si sta sfilacciando e rischia di precipitare.
Come ovviare?
Ci prova attraverso analisi stringate. Fitte – Cogenti.
Ci prova per potersi confrontare con i giovani che muovono i primi passi verso la professione.
Per poterli rassicurare.
Ma soprattutto per dire loro di guardarsi bene dentro.
D’interrogarsi sui suoi stessi interrogativi garantiti ormai da un’esperienza trentennale, che gli fa vedere il prima e il dopo nel presente che sta cambiando come quel “polo australe” dove comunque un fiore è sempre un fiore.
Quell’analogia che fa sorridere i colleghi, gli si palesa come un’immagine stravagante nella sua verità di filosofo apparentemente mancato e di artista a tutto tondo che affida i suoi sogni alle corde di chitarra.
Ecco quindi che l’unicità della vita si materializza nel fiore che nasce in zone estreme per aprirsi con la sua forma/colore/profumo.
Per aprirsi all’aria.
Per concedersi al godimento dei sensi in una straordinaria sinestesia.
Ma al titolo si aggiunge un sottotitolo “L’attitudine alla cura nel Pronto Soccorso”.
Qui dobbiamo proprio scomodare l’a priori e l’a posteriori.
Ci dobbiamo interrogare se l’attitudine è vocazionale nel senso di chiamata o si può attivare attraverso un percorso formativo – cioè stando in trincea, combattendo sul campo.
Esserci ancora, dopo aver sperimentato.
Dopo aver sofferto la condizione.
Dopo aver toccato tutte le difficoltà di frontiera. Occorre un “sussulto” come dice Massimo, insito nella natura umana che viene fuori in condizioni estreme senza disattendere i “principi basilari della deontologia professionale”. Ma non è scontato.
L’a priori, a mio parere, e l’a posteriori si coniugano nel momento cruciale del bisogno. Il curante si misura con se stesso, con l’ammalato e decide.
Se scatta quel passaggio dalla potenza all’atto.
Nonostante – Nonostante tutto.
Nonostante il contesto d’ingovernabilità.
Il miracolo può accadere, sottolinea l’autore, per via di quel “sussulto” insito nella stessa natura umana che tende verso l’altro. L’Io incontra il Tu per diventare Noi. E così la struttura ospedaliera diventerebbe luogo di comunità, di accoglienza e di servizio.
Un’autentica conversione etica che coinvolge la prevenzione e non solo la cura. La prevenzione primaria nel rispetto al pianeta da cui l’uomo dipende in una stretta interconnessione.
Il tutto viene materializzato attraverso un disegno esemplificativo.
Si passa dalla parola alla rappresentazione grafico/geometrica.
Un triangolo equilatero inserito in un cerchio.

Come i fiori in Antartide di Massimo Fazzini (2023) è edito da Affinità Elettive Edizioni