Il vuoto dopo, di Massimo Fazzini

Un percorso di autoanalisi. Pretesto per entrare dentro di sé fino a farsi male. Un volersi conoscere e riconoscere mettendosi, è il caso di dirlo, il dito nella piaga. Senza risparmiarsi. Giù nel profondo fino a toccarsi l’anima.
Va dritto ad esplorarsi con la forza ancora di una giovinezza piena di sogni e fortemente proiettata ma nel contempo ferita e per certi versi irrisolta.
Non gli giova neppure l’inversione in quei campi di grano maturo dove campeggia la figura della madre. Ma indulge in quell’intervallo lirico quando i sentimenti più forti salgono a fior di ciglio e s’intrecciano con le atmosfere di Parigi. Quando i ricordi s’intrecciano e si fanno più fitti.
Una memoria struggente tuttavia che, se non giova totalmente alla risoluzione, di certo fa da lenitivo a quelle ferite che si porta addosso ricucite con quell’ago che credo sappia usare bene.
Medico-malato. Spesso attivo l’uno, passivo l’altro che difficilmente riesce a rivendicare il “diritto di essere malato” o “di essere vivo”. Talvolta in rapporto di simbiosi attiva. E può accadere paradossalmente che l’uno curi le ferite dell’altro.
Un intreccio di emozioni. Di sensazioni. Di sapori che fuoriescono da quelle emergenze.
Esperienze radicali sempre in bilico sull’abisso. Filo teso sul piede oscillante di un funambolo.
Partenza e arrivo. Il percorso, un intervallo ludico. Se lo si dovesse collocare secondo gli schemi tradizionali sarebbe incollocabile. Si muove tra realtà e sogno. Tra l’illusione e il vero.
Clarette è il filo che unisce quel percorso umano molto accidentato su cui lui si specchia e si scopre specchiandosi.
L’argomentare?
Stringato. Sostenuto. Serrato anche nelle domande-risposte.
Un’asciuttezza che si dipana attraverso un linguaggio colto non sempre di lettura immediata.
E il dopo?
L’inarrestabile drammaticità della scelta.

Il vuoto dopo di Massimo Fazzini (2018) è edito da Affinità Elettive Edizioni