Scrivo d’amore, di Patrizia Gambini

Quando l’Olimpo incontra la Terra-Gea nascono la passione, il piacere, la voluttà. Sintesi finale in cui Amore e Psyche escono vittoriosi e la Terra diventa anch’essa immortale.
Così Lucio Apuleio.
Di quella favola molte le versioni e altrettante le varianti.
L’argomento, saccheggiato dalla letteratura, dalla poesia, dal teatro, dal cinema, dalle arti figurative, ritorna ciclicamente per altre metamorfosi come irriducibile sentimento.
Scrivo d’amore sta dentro quel ritorno.
Scontato? Prevedibile? In parte sì.
Ma la sua originalità è in un palleggio emotivo di una frazione di secondo. Con un prima e un dopo, con un oggi e un domani in cui il dopo è già nel prima e il domani nell’oggi.
Prevedibile, sì, ma anche temerario e coraggioso proprio perché s’immette in quel consacrato già detto, già fatto e per questo merita di essere riconosciuto.
Soprattutto per quell’Io ipercinetico che fa da contralto al Tu e ne esce funambolo tra il volere e il non volere. Tra sicurezza e dubbio. Tra incontro e lotta.
Eri/non ero.
Ero/solo se non eri.
Un gioco sapiente giocato sulla parola mutuata, rimescolata, manipolata che sta fra l’idea e l’azione per assumere un senso altro.
Translitterazione verbale e concettuale dentro un’arsura che non trova appagamento. Sete di un amore sempre in fuga da se stesso e in pericoloso approdo. Ma proprio in quella fuga e in quell’approdo la singolarità di quell’Io che si racconta confessandosi e sconfessandosi senza tregua. E quel Tu si trova costretto a scegliere tra il cielo e l’abisso; tra una porta chiusa e una finestra aperta.

Scrivo d’amore di Patrizia Gambini (2017) è edito da Andrea Livi Editore